Alcune considerazioni a margine di un articolo, apparso sulla rivista Circulation, riguardante la classifica delle diete salubri per il cuore secondo l’ American Heart Association.I ricercatori hanno selezionato dieci elementi cardine legati al benessere del cuore, assegnando punteggi da 0 a 100 per ogni dieta considerata. Secondo quanto emerge dalla classifica, gli approcci più validi sarebbero quattro: Dash, dieta mediterranea e modello vegetariano sul podio, vengono poi le diete vegane e povere di grassi che possono causare una carenza di vitamina B-12, provocando anomalie dei globuli rossi o anemie. Seguono con un punteggio inferiore le diete a basso contenuto di carboidrati e grassi; anche queste possono causare carenze di vitamina B-12, acidi grassi essenziali e proteine, portando ad anemia e debolezza muscolare. A proposito del consumo di carboidrati, ricordiamo che il nostro modello di vita purtroppo è sedentario nella maggior parte dei casi e non abbiamo bisogno di grandi quantità di “carburante” come un contadino degli anni ’50.I regimi alimentari meno raccomandati per la salute del cuore, con punteggi inferiori a 55, comprendono infine le diete paleo e chetogeniche, caratterizzate da un bassissimo contenuto di carboidrati e zuccheri e da un apporto sproporzionato di proteine. Un piccolo inciso: molto spesso trasmissioni televisive con presunti esperti o articoli anche su riviste scientifiche pontificano sulle diete chetogeniche, ma, per me che sono un esperto del settore, ciò che emerge è una conoscenza quasi sempre superficiale e distorta dell’argomento in questione. Prima di entrare nel merito della questione, partiamo da una domanda: perché il Paese leader nel mondo, gli Usa, nonostante la spesa sanitaria pro capite più alta a livello mondiale, non hanno l’aspettativa di vita più alta al mondo? Analizziamo quanto emerge da una ricerca effettuata dal network sanitario statunitense NiceRx, che ha analizzato diversi dati dei paesi dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) tra cui appunto la longevità dei loro abitanti.
Aspettativa di vita media
Hong Kong 85,29 (maschi 82,38 femmine 88,17)
Giappone quasi 85,03 (maschi 81,91 femmine 88,09)
Svizzera 84,25 (maschi 82,42 femmine 86,02)
Singapore 84,07 (maschi 82,06 femmine 86,15)
Italia 84,01 (maschi 81,90 femmine 85,97 )
Seguono Spagna, Australia, Islanda, Corea del Sud, Israele, Svezia, Francia, ecc.
Gli USA occupano il 32° posto con 79,11 (maschi 76,61 femmine 81,65 )
Spesa sanitaria pro capite
1 USA 12.318 dollari
2 Germania 7.383 dollari
Seguono Svizzera, Norvegia, Austria, Danimarca, Svezia, Olanda, Canada, Irlanda, Australia.
L’Italia si piazza al 20° posto con una spesa sanitaria pro capite di 4038 dollari.
Nel caso degli USA, la causa di questo risultato certo non esaltante non può essere ricercata nella genetica perché sono da sempre un melting pot. I fenomeni complessi non hanno mai una spiegazione semplice, ma c’è un dato molto importante da valutare.
Tasso obesità
1 USA 38,2%
2 Messico 32,4%
3 Nuova Zelanda 30,7
Paesi più virtuosi
1 Giappone 3,7%
2 Korea 5,3%
3 Italia 9,8%
I numeri sono chiari: gli USA sono stati colpiti in maniera molto importante da quella che l’OMS definisce globesity cioè “epidemia globale di obesità” e la tendenza è di un ulteriore peggioramento; nell’arco di 20 anni l’obesità grave è passata dal 4,7% al 9,2%. Torniamo adesso ai rilievi critici mossi al trattamento chetogenico. Primo grave errore: non è assolutamente vero che una dieta chetogenica sia necessariamente basata sull’assunzione smodata di proteine. Se ci si affida a un serio professionista della nutrizione preparato sul protocollo chetogenico, la quantità di proteine verrà calibrata sulle esigenze individuali e tale da essere sufficiente a preservare la massa muscolare e il collegato metabolismo basale. Altro errore molto grave. Un’ accusa che viene spesso rivolta ai trattamenti chetogenici è che prevedono l’assunzione di eccessive quantità di grassi saturi. Un protocollo chetogenico correttamente strutturato non prevede un consumo eccessivo di grassi saturi perché è basato sullo smaltimento delle adiposità localizzate. Anche l’ American Heart Association ha l’obbligo di documentarsi prima di dare le pagelle. Il trattamento chetogenico è oggetto di studio in centri di ricerca e Università in tutto il mondo dagli anni ’70 quando il professor George L. Blackburn di Harvard per il suo dottorato trattò centinaia di pazienti con questo regime dietetico. Nel lontano 1992, io e gli altri membri del team di ricerca che avevo costituito ci siamo avvicinati al mondo della dietologia proprio sull’input delle teorie del prof. Blackburn e la sua intuizione di mandare il paziente in chetosi (che si verifica quando l’organismo, per far fronte ai propri bisogni energetici, esauriti gli zuccheri, brucia i grassi) ottenendone il dimagrimento. Noi, riprendendo questa idea, dopo una serie di sperimentazioni presso l’ospedale di Avellino che hanno confermato le nostre ipotesi, abbiamo messo a punto un protocollo per l’Europa, sconvolgendo il mondo della nutrizione. La scienza ufficiale considerava la chetosi una patologia mentre il sovrappeso e l’obesità stavano diventando un’epidemia. Solo dopo molti anni, anche le Università hanno iniziato a interessarsi a questo trattamento e la possibilità di ricerca dei laboratori universitari ha permesso di chiarire meglio i meccanismi di funzionamento della chetosi. Il nostro gruppo di ricerca ha svolto un lavoro pionieristico, sono fiero di aver contribuito a diffondere in Italia un protocollo di dimagrimento sicuro e con alta percentuale di successo, se seguito correttamente. Parlare genericamente di dieta chetogenica riferendosi solo alla Dukan e alla Atkins non è corretto: esistono protocolli chetogenici normoproteici e che, evitando il consumo eccessivo di grassi saturi, prevedono elevata assunzione di grassi a basso impatto infiammatorio come l’acido linoleico (contenuto, a esempio, in grandi quantità nell’olio extravergine d’oliva che si consiglia di usare con abbondanza, soprattutto a crudo, per condire verdure, pesce, carne) e assunzione/integrazione di omega 3. La differenza nutrizionale tra le varie dietoterapie chetogeniche sta proprio nella scelta dei grassi. In qualche caso può essere utile ai fini del trattamento amMinoacidico anche l’utilizzo del sondino. Ormai sappiamo bene e anche il Center for Disease Control americano lo conferma: le condizioni correlate all’obesità includono malattie cardiache, ictus, diabete di tipo 2 e alcuni tipi di cancro e adesso si capiscono meglio le relazioni tra obesità e malattie autoimmuni. Nel 2019 il costo medico annuo stimato dell’obesità negli Stati Uniti è stato di quasi 173 miliardi di dollari. Nato come pronto intervento (basti pensare alla sua utilità prima degli interventi di chirurgia bariatrica e prima degli interventi chirurgici in genere per le persone obese ai fini dell’anestesia), si è visto che il trattamento amminoacidico può essere ben tollerato dall’organismo anche per lunghi periodi e garantire un’alimentazione adeguata. Sappiamo che il trattamento chetogenico correttamente impostato è molto efficace contro l’infiammazione. Il sovrappeso e ancor peggio l’obesità rappresentano un importante fattore di rischio per lo sviluppo di molte patologie croniche e degenerative: malattie cardiovascolari, metaboliche, degenerazioni del sistema nervoso centrale. Il tessuto adiposo non è solo la “ciccia”, è anche sorgente di ormoni che possono influenzare alcuni tipi di tumori come quello alla mammella e contiene moltissime cellule del sistema immunitario. Insomma liberarsi delle adiposità localizzate è fondamentale per la nostra salute prima ancora che per il nostro aspetto estetico. Il trattamento chetogenico consente di “aggredire” non solo il grasso sottocutaneo, ma anche il grasso addominale con riduzione dei livelli di infiammazione e dei rischi conseguenti. Anche l’invecchiamento comporta una risposta infiammatoria per questo si usa il termine inglese inflammaging, crasi tra le parole inflammation e aging ossia invecchiamento infiammatorio. A Claudio Franceschi, immunologo di fama mondiale, docente emerito dell’Università «Alma Mater Studiorum» di Bologna, dobbiamo la scoperta negli anni ’90 della presenza di uno stato di infiammazione cronica di basso grado che caratterizza l’anziano, per cui nel 2000 ha individuato questo processo come uno tra i meccanismi biologici fondamentali dell’invecchiamento dell’uomo, definendolo “inflammaging”.
Concludendo, prima di parlare di trattamenti chetogenici è necessario studiare e documentarsi anche da parte di Istituzioni prestigiose come l’American Heart Association perché i protocolli non sono tutti uguali. E poi, davanti alla globesity e ai rischi che comporta per la salute, è onesto intellettualmente rinunciare a un metodo che favorisce un dimagrimento sicuro, fisiologico e rapido come il trattamento amminoacidico?
Prof. Mario Marchetti